Non è cosa da poco, il marketing. Ormai pervade le nostre giornate, ci condiziona in ogni movimento e scelta della nostra vita. Se cerchiamo di starne lontani, alla fine ci accorgiamo che ci ha avvolto tra le sue spire senza farcene accorgere: un po' come il serpente Kaa fa con Mowgli, ipnotizzandolo. Bisognerebbe avere a disposizione una Bagheera portatile e personale da mettere in borsa, anche quando siamo al supermercato, per darci un buffetto in faccia e risvegliarci dall'ipnosi del marketing.
Da utente lo si guarda con circospezione, ma da "addetto ai lavori" lo si comincia a odiare. Sì, perché è difficile lavorare nel mondo della comunicazione, oggi, se hai un po' di sentimenti sani e puri, se ti hanno insegnato la grammatica a scuola (e pure la punteggiatura), se non ami vincere per forza pur restando sempre a galla, se non sei il solito furbetto, se non vuoi fregare nessuno. E' difficile perché tu vuoi continuare a scrivere bene, a consultare il dizionario Treccani dei sinonimi e dei contrari, a scegliere con cura la posizione delle virgole, per poi renderti conto che ormai, sui social network, così come sul web in generale, girano testi scritti malissimo, eppure cliccatissimi, letti da migliaia di persone, che diventano "virali". Girano video indecenti, alla portata di persone di tutte le età (anche dei più piccoli, purtroppo), riprese amatoriali o ben studiate dalle aziende, per distogliere l'attenzione dai fatti seri delle società e dei Paesi, e passare la propria giornata davanti a uno schermo piatto. E infatti sono quelli i prodotti vincenti, quelli che contano migliaia di visite, non gli articoli di una certa rilevanza, che a stento raggiungono i 100 lettori. Eppure siamo tutti vittime di algoritmi, di numeri, cifre, calcolatori. Se mentre stiamo cazzeggiando su Facebook ci capita di ritrovarci la pubblicità di un paio di scarpe che avevamo visto su Zalando il giorno prima, e se subito sotto ritroviamo l'inserzione di un giocattolo che avevamo appena trovato su Amazon, e poco più su leggiamo un annuncio di lavoro che avevamo consultato qualche ora prima...bé, a tutto questo non si può non reagire. Perché è odioso l'uso strumentale di questi mezzi per creare attorno a ognuno di noi un mondo fasullo, basato sui propri interessi (anche se passeggeri), ma in realtà poggiato sul nulla e finalizzato esclusivamente al consumo e al "non-pensiero". Siamo stati rinchiusi in tante piccole scatolette di latta, da cui sarà difficile uscire, mano mano che si andrà avanti. E le nostre vite sono ormai comandate a distanza tramite i devices che portiamo sempre con noi, ma che non siamo noi a manovrare. E d'altronde, se ci giriamo intorno, ognuno di noi è concentrato sul suo smartphone o sul proprio tablet, a leggere, scrivere, rispondere, messaggiare, o semplicemente a guardare foto e video di altri. E sembra quasi che guardarsi in faccia sia diventato innaturale. Odio soprattutto i "giornalisti" improvvisati sui siti di "news" autogestite, che ormai sono purtroppo diventati il riferimento della maggior parte di utenti del web (e i grandi giornali di una volta, oggi vi si sono anche adeguati, in quanto a bassezza dei contenuti e scorrettezza del linguaggio) : odio quando usano i pronomi sbagliati, quando non sanno trovare la giusta collocazione alle congiunzioni, quando manca del tutto un senso alla frase che scrivono con tanta ansia (e che tu leggi, cercando di placare i conati di vomito). Odio quando, per invogliarti a leggere la penosa pagina del sito per cui lavorano (ovviamente, veicolando gli utenti verso quella pagina portano soldi alle società = più lettori, più investitori interessati a pagare per le pubblicità = più guadagno per i siti), scrivono frasi ormai diventate standard (e anche molto fastidiose) del tipo:
...e così via. Tutto è shockante, tutto è sorpresa, tutto è incredibile, tutto è assolutamente disgustoso, illeggibile e noioso. Mi viene da vomitare a leggere queste cose. Così come mi viene il vomito se vedo i video virali che girano in continuazione online, dagli effetti di Gomorra ai talenti in TV, dalle scene di violenza pura di bulli e bulle verso vittime innocenti, a incidenti di persone che non sono più su questa terra e che però sono state filmate nel loro ultimo respiro. Ed è ancora più odioso quando ti propongono articoletti di cronaca nera, spesso relativi a maltrattamenti indicibili su bambini o donne, notizie prese un po' in giro nel web, e poi, come articoli correlati, proprio a un centimentro da quello che stavi leggendo e che ti aveva traumatizzato per la crudezza dei fatti, ci trovi gli amanti focosi, Belen che fa shopping, la Pascale che difende il Calippo o Barbara d'Urso che litiga con Platinette. MA DICO IO...QUESTO NON E' SHOCKANTE? Certo, si potrebbe pensare: "Non guardare queste cose, non stare sui social, non perdere tempo". Ma io con i social ci lavoro, con la comunicazione ci campo, con le parole cerco di costruirmi un mestiere che mi piace. Ma quello che mi piace di più è accarezzarle, le parole, dare loro agio di esprimersi al meglio, lasciare tra loro i giusti spazi e far sì che possano prendere ossigeno. Non riesco ancora a costringermi a inscatolarle in due righe prestabilite, buttarle lì nel calderone dei dieci post giornalieri e attaccarle a qualche immagine o video che possa far perdere del tempo agli altri. Non mi piace violentare le parole cercando i connubi perfetti che possano far guadagnare qualcuno ed essere ricercati facilmente su Google, non mi piace contare ogni quante parole devo inserire la keyword di turno. Quando tutto questo ha avuto un inizio, quando sono nati i blog e i siti di informazione, quando ancora si poteva scrivere bene, il mondo girava intorno ad altro, la stampa aveva un senso, e la TV era lo sfogo delle masse. Oggi tutto questo sembra solo un ricordo lontano. Mi viene quasi da rimpiangere le telenovele che vedevano le nonne negli anni '80. Ma questa è un'altra storia. -- V.
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